Nel neoclassico Oratorio di S. Maria Annunciata – Piazza S. Maria, dove il 31 gennaio 1805 si sposarono i genitori di Verdi, si conserva, invece, l’Annunciazione di Vincenzo Campi (1581).

Vi è pure custodito un antico simulacro del Cristo morto in cuoio, che la leggenda dice giunto con una piena del Po.

Verdi, in gioventù, compose quattro “Notturni” – andati perduti – per la processione del Venerdì santo nella quale la statua, ancor oggi, attraversa solennemente la via principale dei paese.

Costruito in forme neoclassiche dall’architetto-pittore bussetano Giuseppe Cavalli, cui si deve anche la decorazione del salone. Verdi lo acquistò agli esordi della propria fortuna economica, nel 1845, e qui convisse dal 1849 al 1851 con Giuseppina Strepponi, generando lo scandalo dei benpensanti e un momentaneo offuscarsi dei rapporti con Antonio Barezzi, per la vita libera, le relazioni e i figli che ella aveva avuto in gioventù. Qui il Maestro compose le opere Luisa Milier, Stiffelio e Rigoletto. Nel gennaio 1867 vi morì Carlo Verdi.

La chiesa gotica e l’annesso convento francescano sorgono alla periferia sud-ovest del paese, dove furono edificati tra il 1470 e il 1474 da Pallavicino e Gianludovico Pallavicino, figli di Orlando il Magnifico.

All’interno, in una nicchia ricoperta di concrezioni rocciose, è custodito il Compianto sul Cristo Morto di Guido Mazzoni (1476-77), capolavoro della scultura emiliana del Quattrocento: otto figure a grandezza naturale in terracotta policroma, di cui due riconducibili per la fisionomia ai committenti, rese con straordinaria introspezione psicologica ed intensità emotiva, che il recente restauro (finanziato dal Ministero per i Beni Culturali) ha contribuito ad esaltare. Giuseppe Verdi frequentava questa Chiesa fin da fanciullo e il 6 gennaio 1836, nel clima acceso delle polemiche per il concorso a maestro di cappella della Collegiata, vi tenne un seguitissimo concerto d’organo. È quindi lecito pensare che abbia interiorizzato, per farli poi riaffiorare nella produzione musicale della sua maturità, il dolore silenzioso e la teatralità contenuta che il gruppo statuario esprime. Meritano una menzione anche l’affresco staccato con il Cristo caduto sotto lo croce di Nicolò dell’Abate (1543-44 cc) e la tela di Antonio Campi con Madonna e Santi francescani (1580 cc).

Il bussetano Pietro Pettorelli, che nel 1617 fondò il collegio dei Gesuiti, ne dispose l’ampliamento e la costruzione di una chiesa, i cui lavori terminarono nel 1862.

La facciata si coordina con quella del collegio, di ordine dorico, ma viziato dal gusto barocco del tempo. È interamente percorsa da portici, scanditi da lesene e un cornicione divide orizzontalmente il prospetto, che presenta finestre rettangolari alternate a lesene al primo piano. La parte alta della chiesa si sviluppa su un piano arretrato e un timpano tondo spezzato ne funge da facciata.

L’interno, di gusto barocco, è a navata unica con tre cappelle laterali per parte e fu interamente stuccato e decorato da Domenico Dossa e Bernardo Barca.

Gli affreschi attribuiti a Giovanni Evangelista Draghi raffigurano la gloria di S.Ignazio, di S. Luigi Gonzaga, di S. Francesco Saverio e di S. Francesco Borgia. Dello stesso autore sei dipinti a olio su tela entro cornici a stucco, sovrastanti le statue di alcuni santi gesuiti, presentano episodi di vita del fondatore dell’Ordine: la conversione di S. Ignazio nel castello di Lojola, il santo penitente a Monserrato, la sua vita ascetica di Manresa, il suo viaggio in Terrasanta, il suo apostolato e i suoi miracoli.

Quattro delle cappelle laterali sono affrescate a quadrature, forse da Giuseppe Natali, mentre le ancone lignee si devono a Vincenzo Biazzi. Tra le altre tele, in parte conservate nella chiesa collegiata di S. Bartolomeo, S. Giovanni Francesco de’ Regis di Clemente Ruta, Arrivo di S. Francesco Saverio nelle Indie di Giovanni Evangelista Draghi.

La pala dell’altare maggiore rappresenta la Gloria di S. Ignazio e si deve Pier Ilario Spolverini, copiata da Giacinto Brandi e contornata da una finta ancona rococò. I gesuiti furono espulsi dal Ducato di Parma e Piacenza da Ferdinando Borbone, con decreto del 3 febbraio 1768, convalidato dal papa Clemente XIV con bolla del 21 luglio 1773. Il collegio fu allora adibito a ospedale e ospitò anche le scuole pubbliche poi frequentate da Giuseppe Verdi.

Costruito fra il 1679 e il 1682 da Antonio Rusca, su progetto di Domenico Valmagini, architetto di Ranuccio II Farnese, è un esempio significativo di architettura farnesiana in epoca barocca.

La facciata è caratterizzata da grandi portici al piano terra, forniti di panche marmoree scolpite, nelle cui lunette erano due affreschi di Angelo Massarotti con Gesù deposto dalla croce e Martirio di S. Bartolomeo (1682), staccati e conservati all’interno, ora sostituiti da due graffiti. Il primo piano a stucchi presenta cornici mosse ed eleganti, che inquadrano le finestre con timpani arcuati e triangolari alternati.

Il Monte di Pietà fu fondato dai francescani e dai Pallavicino nel 1537 e assolse compiti benefici, assistenziali e si occupò dell’elargizione di borse di studio, del mantenimento della Scuola di Musica e della gestione della ricca biblioteca. Lo stesso Giuseppe Verdi frequentò la Scuola e poi fruì del sussidio, che gli permise di studiare a Milano presso il M° Vincenzo Lavigna tra il 1832 e il 1836.

Nel 1960 il Monte di Pietà si fuse con la Cassa di Risparmio di Parma mentre dal 2000 Palazzo e Biblioteca, sono proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su pegno di Busseto che continua generosamente l’osservanza degli scopi originari.

Adiacente alla Chiesa Collegiata è l’Oratorio della SS. Trinità, ove il 4 maggio 1836 furono celebrate le nozze di Giuseppe Verdi con Margherita Barezzi. La porta intagliata, datata 1794, è assegnabile a Francesco Galli. L’interno presenta deliziosi stucchi settecenteschi e uno splendido altare maggiore in marmi policromi (1749), nel cui retro è un bassorilievo con la figura e lo stemma del beato Rolando de’Medici (1464).

L’abside racchiude il capolavoro di Vincenzo Campi: la SS. Trinità con le Sante Apollonia e Lucia (1579).


Su prenotazione…

Verdi all’organo

per soprano e organo, durata 60 minuti circa
oppure
per organo solo, durata 60 minuti circa

Un concerto, un incontro esclusivo con Giuseppe Verdi e la musica del suo tempo

Il rapporto di Giuseppe Verdi con l’organo e con la musica sacra, che tanto incise sulla sua produzione operistica futura, fu strettissimo fin da subito. All’età di quattro anni, il giovane Maestro fu infatti avviato all’organo dal dilettante Pietro Baistrocchi, del quale prese il posto di organista nella Chiesa di San Michele Arcangelo a Roncole nel 1823. Due anni dopo, grazie agli studi con Ferdinando Provesi, – Maestro di Cappella e organista – ricoprì lo stesso incarico nella Collegiata di San Bartolomeo e in tutte le altre chiese di Busseto.
E, d’altra parte, strettissimo fu il legame del Maestro proprio con l’Oratorio della Santissima Trinità, in cui il 4 maggio 1836 sposò in prime nozze Margherita Barezzi, figlia del suo benefattore Antonio.
Ecco allora, in un concerto esclusivo, un intenso momento di dialogo tra un gruppo ristretto di spettatori e l’organista, per scoprire il rapporto tra Verdi, la musica sacra e quella del suo tempo.

Per info chiamare il numero 0524/92487 oppure scrivere all’indirizzo mail info@bussetolive.com

Riedificata dal 1437 per volere di Orlando Pallavicino il Magnifico, presenta nella facciata pregiate decorazioni in terracotta di gusto lombardo, ricorrenti negli edifici bussetani del Quattrocento, prodotte probabilmente nella bottega di Jacopo de’ Stavolis a Polesine (1480-90 ca) su modelli di Rainaldo.

All’interno, rivestito a metà Settecento di stucchi rocaille alla maniera di Fortunato Rusca e Carlo Bossi, sono conservati importanti dipinti dei secoli XVI, XVII e XVIII, tra cui quindici tondi con i Misteri dei Rosario di Vincenzo Campi (1576-1581 ca) e affreschi con imponenti figure di Dottori della Chiesa di Michelangelo Anselmi (1538-39). Rimarchevoli sono l’altare maggiore con figure e intagli a finto bronzo dorato, del cremonese Giovanbattista Febbrari (metà ‘700) e il coro neoclassico (1800-1805).

Eccezionale, ma attualmente non visitabile, è il Tesoro della Collegiata, costituito da sontuosi paramenti, corali miniati della fine del Quattrocento, da un piccolo trittico in avorio intagliato, ascrivibile agli inizi dei Quattrocento e attribuito alla bottega degli Embriachi e da splendide argenterie.

Di assoluto rilievo è la croce ostile in argento dorato, realizzato nel 1524 dagli orafi parmigiani Jacopo Filippo e Damiano Da Gonzate. Organista e maestro di cappella della Collegiata fu dal 1820 al 1833 Ferdinando Provesi. Alla sua morte l’appena ventenne Giuseppe Verdi sospese gli studi e tornò da Milano a Busseto, desideroso di succedergli, ma gli fu preferito – e senza concorso – Giovanni Ferrari di Guastalla.

In segno di protesta i membri della Filarmonica Bussetana, capitanati da Antonio Barezzi, rifiutarono di partecipare alle funzioni sacre e il paese si spaccò in due fazioni: pro e contro Verdi.

Degna di nota è la presenza, nella cappella di sinistra, del crocifisso originale preso a modello per il Cristo parlante nella fortunatissima serie di film incentrati sui personaggi di Don Camillo e Peppone, ideati dalla geniale penna di Giovannino Guareschi.

Di fronte alla Rocca, nello piazza principale dei paese, troneggia il monumento in bronzo a Giuseppe Verdi, opera dello scultore Luigi Secchi, inaugurato nel 1913.

Il Maestro, raffigurato in posizione seduta, sembra dominare quietamente con lo sguardo la vita del paese.