Il complesso dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense, sede del Museo del Culatello, si staglia in uno scorcio di Bassa dominata dal suono del Grande Fiume, là dove la nebbia è un ingrediente essenziale del gusto. Il percorso museale presenta, uno dopo l’altro, i protagonisti della vicenda del Culatello. Il primo è il territorio: l’ambiente, i pioppeti, il Po sono protagonisti di una narrazione che conduce fino alla sala incentrata sulla figura del maiale, addomesticato dall’uomo in tempi remoti, con approfondimenti sul maiale nero tipico del Parmense e sul suo recupero, sul simbolismo e sull’immagine di una creatura talmente legata all’uomo da essere scelto per evocarne i vizi e le virtù, nella ricca collezione di cartoline illustrate ma anche nei libri e nella satira, nella pubblicità e nei francobolli. Uno spazio del museo propone anche un approfondimento sulla figura di Sant’Antonio Abate, eremita del deserto, sempre rappresentato in compagnia di un maialino.

La sala successiva è dedicata alla storia della famiglia Spigaroli, in principio mezzadri di Giuseppe Verdi, capaci di spostarsi sulle rive del Po per poi reinventarsi ristoratori: è in questa sezione che si comincia a parlare dei Masalén, dei norcini che tramandavano l’arte della corretta macellazione del maiale. Ci sono riferimenti storico artistici, bassorilievi che dimostrano come quella dell’ammazzata fosse una festa cruenta ma anche un rito festoso e grato che si rinnovava anno dopo anno. Una collezione di oggetti legati all’attività accompagna il ritorno all’esterno, per un’ideale boccata d’aria prima dell’immersione in un grande spazio sotterraneo che ci introdurre nel mondo segreto del Culatello.

Nella sala si snodano temi come le caratteristiche della carne di maiale, del sale (con riferimenti necessari a quello prezioso di Salsomaggiore) del pepe (dalle sue origini orientali ai risvolti economici) e dei principali salumi della Bassa Parmense. Si passa quindi alla storia del Culatello, all’iconografia e alle citazioni di personaggi famosi, da Giuseppe Verdi a Gabriele D’Annunzio a Giovannino Guareschi e tanti altri, con un racconto puntuale delle fasi che dalla coscia del maiale portano a un prodotto caratterizzato anche da un preciso rituale di degustazione. Il percorso permette di osservare anche l’affascinante galleria dei culatelli, che stagionano nell’umidità e nella penombra, museo di sé stessa, prima di risalire fino alla sala dell’Hosteria, dove la degustazione chiude il percorso dedicato al Re dei Salumi.

Il museo aprirà i battenti nel secondo semestre del 2021

Fin dalla preistoria – come testimoniato dai reperti conservati al Museo Archeologico di Parma – i funghi entrano nell’alimentazione del popolo delle Terramare.

I funghi erano conosciuti per le loro caratteristiche organolettiche già nell’antica Roma dove se ne facevano largo consumo, in particolare nei banchetti imperiali dei “Cesari”. Ne è prova il nome di Amanita Caesarea attribuito all’ovulo buono, considerato fin da allora fra i più prelibati.

Anche il Porcino di Borgotaro vanta una fama gloriosa in cucina, apprezzato dai duchi Farnese – nel 1606 il nobile borgotarese Flaminio Platoni invia “trifole secche” a Ranuccio I – impiegato magistralmente dal cuoco Carlo Nascia (XVII-XVIII sec.) nel trattato Li quattro banchetti alla Corte di Parma. Tra le primissime fonti che fanno riferimento alla raccolta di questo fungo vi è un testo del XVII secolo, L’Istoria di Borgo Val di Taro, opera del canonico pontificio Alberto Clemente Cassio (1669-1760) che ricorda: «… la terra di questi monti partorisce… nell’autunno inodorati boleti… [essi] sono di non tenue vantaggio alle donne, che li raccolgono e vendono e, conditi con sale, li trasmettono ad altri Paesi».

Nel 1928 venne pubblicato a Borgo Val di Taro il regolamento per il mercato dei funghi, probabilmente il primo in Italia. Anche a Bedonia nel 1920 ha inizio con buoni risultati e per molti anni l’attività di lavorazione di funghi Porcini conservati presso la ditta “La Mirtillo”, voluta da Primo Lagasi con la collaborazione di Colombo Calzolari.

Nel 1964 il Consorzio delle Comunalie Parmensi istituiva una riserva per la raccolta sostenibile dei funghi. Il riconoscimento di Indicazione Geografica protetta giunse nel 1996.

L’interesse per questo alimento è ad oggi sempre molto vivo, sia per il pregio dei suoi profumi e sapori che per la sua importanza gastronomica, valorizzata dai ristoranti del territorio.

Al centro di una zona vocata da secoli alla produzione vitivinicola, nelle suggestive cantine della Rocca di Sala Baganza, viene allestita la Cantina dei Musei del Cibo, un percorso espositivo e sensoriale interamente dedicato al vino di Parma, alla sua storia e alla sua cultura.

Presente già in epoca preistorica e assai sviluppata in epoca romana, la viticultura ha lasciato importanti testimonianze culturali nel territorio parmense. L’allestimento museale lo testimonia attraverso sei differenti sezioni. La prima sala è dedicata alla archeologia del vino nel parmense, con oggetti e immagini provenienti dagli scavi del territorio, che testimoniano come sia nato proprio in questa zona, introdotto dalle popolazioni celtiche, il modo “moderno” di bere il vino, schietto e in bicchieri, abbandonando l’uso greco e latino di vini annacquati e speziati.

La seconda sala approfondisce gli aspetti legati alle caratteristiche della pianta della vite e alla viticultura; la terza racconta, attraverso attrezzi e oggetti antichi la vendemmia e la preparazione del vino, mentre immagini e documenti narrano le storie del vino del territorio: dalle Arti medievali alle tecniche francesi introdotte dai Borbone, all’amore di Garibaldi per la Malvasia, alla passione per la viticultura di Giuseppe Verdi.

La discesa nella ghiacciaia rinascimentale si trasforma in una esperienza avvolgente: immagini a 360° raccontano il ruolo della vite e del vino nel rito, nella storia e nell’arte, immersi in una cultura millenaria ricca di tradizioni. Dopo aver percorso un pergolato di vite, si approda alla sala delle botti. Qui si scopre la storia dei contenitori per il vino e dei mestieri ad essi correlati: il vetraio e il bottaio.

La sesta sala presenta i frutti della viticultura parmense: i pionieri del settore, le varietà coltivate, i vini prodotti, perfetti per essere abbinati al formaggio e ai salumi d’eccellenza del territorio, le cantine da visitare nella zona, il ruolo del Consorzio dei Vini dei Colli di Parma a salvaguardia della qualità di un prodotto in continua crescita. Il percorso si conclude, doverosamente, con la degustazione nell’enoteca nei sotterranei della Rocca.

Presso la stupenda corte agricola medievale di Giarola (Collecchio), posta sulla sponda destra del fiume Taro, in asse con quella Via Francigena che conduceva i pellegrini verso la Città eterna, a fianco del già esistente Museo del Pomodoro, viene allestito il Museo della Pasta. La pasta secca di semola di grano duro, di origine mediorientale, ha trovato in Italia la patria d’elezione, sviluppandosi nei secoli in diverse aree del Paese: in Sicilia, in Liguria, a Napoli, a Bologna. Nell’Ottocento inizia a Parma l’attività di Barilla, oggi leader mondiale del settore, che ha contribuito in maniera determinante alla nascita del museo dedicato in sei sezioni, alla conoscenza storica, tecnologica e culturale della pasta.

Il museo si articola in dieci sezioni. La prima, dedicata al grano, alle sue caratteristiche e alle modalità di coltivazione, presenta modelli, antichi attrezzi contadini e documenti che testimoniano l’evoluzione delle tecniche agricole. La seconda sezione è dedicata alla macinazione, alle varie tipologie di mulino, con modelli e iconografia storica di grande interesse, la ricostruzione di un mulino a macine e un moderno mulino a cilindri. La preparazione casalinga della pasta fresca, a cui è dedicata la terza sezione, viene raccontata attraverso piccoli attrezzi domestici, l’arte del matterello e la straordinaria varietà della più ricca collezione italiana di “speronelle”, o rotelle da pasta. Un vero pastificio industriale della prima metà dell’Ottocento consente al visitatore, nella quarta sezione, di comprendere le varie fasi di produzione della pasta secca, con macchinari originali, perfettamente restaurati. Un secondo nucleo di macchine antiche, mostra, nella quinta sezione, le metodiche di produzione in un laboratorio artigianale emiliano del secolo scorso. La prima pressa continua, progettata dagli ingegneri parmigiani Mario e Giuseppe Braibanti nel 1933 introduce il tema dell’automazione sviluppato nella sesta sezione, con modelli e video, che presentano le attuali, modernissime tecnologie impiegate nei pastifici industriali per garantire un prodotto di alta qualità costante nel tempo. La settima sezione illustra, attraverso le “trafile”, il modo di formatura di oltre cento differenti formati di pasta, vere “architetture per la bocca”. Alla comunicazione della pasta è dedicata l’ottava sezione, con manifesti, locandine, affiches storiche realizzate da cartellonisti e grafici di fama. La sezione gastronomica presenta la storia dello scolapasta, dei ricettari e gli abbinamenti ideali tra formati e condimenti, valorizzando le tipicità delle varie regioni d’Italia e la Dieta Mediterranea. Una panoramica sulla pasta nell’arte e nella cultura – dai dipinti ai francobolli – chiude il ricco percorso espositivo.

Il Museo etnografico sul pomodoro si trova all’interno della Corte di Giarola, tra Collecchio e Ozzano Taro, zona storicamente vocata alla produzione e alla trasformazione del pomodoro, in Provincia di Parma.
L’edificio era un tempo l’antica grancia del Vescovo di Parma e tra il XII e il XIV fu interessata dalle lotte per il controllo del guado del Taro e per lo sfruttamento delle acque dello stesso. Perduta ogni rilevanza militare dal XV secolo rimase solo la funzione agricola. Fino agli anni ’60 dello scorso secolo fu sede di un’industria di trasformazione conserviera del pomodoro. Diventata di proprietà pubblica nel 1998, restaurata in parte, è dal 24 maggio 1999 sede del Parco fluviale regionale.
Il museo è stato inaugurato il 25 settembre 2010 con un convegno dedicato a “Il pomodoro a Parma: storia, imprenditorialità e gusto”.
Il percorso espositivo è predisposto nell’ala a piano terra dove un tempo erano presenti le stalle. È organizzato in sette sezioni che illustrano i temi:

  1. la storia del pomodoro, dall’arrivo in Europa dopo la scoperta delle Americhe alla sua diffusione;
  2. lo sviluppo dell’industria di trasformazione del pomodoro a Parma;
  3. lo sviluppo delle tecnologie produttive;
  4. il prodotto finito e gli imballaggi;
  5. lo sviluppo dell’industria meccanica;
  6. i protagonisti e i lavori in fabbrica;
  7. la cultura del “Mondo Pomodoro” con le pubblicità, le citazioni e i dipinti.

Il Museo del Parmigiano Reggiano, realizzato all’interno dell’antico caseificio presente nella Corte Castellazzi di Soragna, in Provincia di Parma, è un museo etnografico sul tema della produzione del formaggio Parmigiano-Reggiano.
Il museo è stato ricavato all’interno di un’ottocentesca corte agricola di pertinenza del castello Meli-Lupi di Soragna. Il castello, a pianta circolare, fu costruito nel 1848 da Casimiro Meli-Lupi. Ampliato nel 1963 con la costruzione di due nuovi locali ad uso di camera del latte e di salatoio, rimase attivo fino al 1977.
L’esposizione comprende materiale raccolto nella zona di produzione del Parmigiano-Reggiano che comprende cinque province: Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna ad ovest del Reno e Mantova a sud del Po.
Gli oggetti hanno origine tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Il progetto espositivo si basa sul concetto che il caseificio è già di per sé un museo, con i luoghi e gli attrezzi che mostrano la produzione del Parmigiano-Reggiano.
È organizzato in sezioni allestite nelle tre sale ricavate dai tre locali originalmente utilizzati per la produzione del caseificio, la sala A nell’edificio circolare, la sala B nel salatoio interrato e la sala C nella camera del latte sopraelevata. Ci sono poi uno spazio di ristoro e un museum-shop.

 

Si tratta di un vero e proprio museo etnografico sul tema della produzione del Prosciutto di Parma, realizzato all’interno dei locali ristrutturati dell’ex Foro Boario di Langhirano, una struttura risalente al 1928.
Lo spazio espositivo è organizzato in otto sezioni a tema. Il percorso ricorda i telai in legno su cui vengono appesi i salumi per la stagionature, dette localmente “scalere”.
La prima sezione inquadra il territorio del parmense, l’agricoltura locale dall’antichità a ad oggi ed il rapporto tra l’allevamento degli animali e la produzione agricola. La seconda sezione è dedicata alle razze suine allevate per la produzione dei salumi tra cui l’autoctono suino Nero di Parma.
La sezione seguente illustra il sale che è un prodotto indispensabile del processo di lavorazione dei salumi.
La quarta sezione si occupa degli strumenti e delle peculiarità del lavoro dei norcini.
Nella quinta sala è esposta, su pannelli, tutta la varietà completa dei salumi parmensi: oltre al Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello, il Salame di Felino e la Spalla Cotta di San Secondo e vari altri prodotti della norcineria del territorio.
La sesta sezione è dedicata alla gastronomia.
La settima sala, la più ampia del museo, si occupa di illustrare il complesso della lavorazione del prosciutto.
L’ottava parte è dedicata alle informazioni più significative sul Prosciutto di Parma e sul Consorzio di tutela.
Ci sono infine uno spazio dedicato alla degustazione ed un punto vendita di prodotti tipici.

Il museo etnografico sul tema della produzione del Salame di Felino è stato realizzato all’interno delle cantine del Castello di Felino, antico maniero risalente all’anno 890, a Felino in Provincia di Parma. Il percorso museale è suddiviso in cinque sezioni. Inizia con l’analisi storica del rapporto tra il territorio ed il salame, compresa la storia del maiale di razza nera. Si continua nella seconda parte dedicata alla gastronomia con testimonianze dell’impiego del salame a Parma. Nella terza sala si trova la parte della norcineria e della produzione casalinga. La quarta sezione si occupa della tecnologia della produzione, dalle origini all’attualità, e della commercializzazione del prodotto. L’ultima parte è dedicata al video del museo e ad una raccolta di curiosità storiche, tra cui l’origine dell’iconografia di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici e patrono degli allevatori e dei macellai. Infine è presente un museum-shop.